Vampata di San Giuseppe

    Al grido di Viva San Giuseppe, la notte del 18 marzo le piazze di Palermo si illuminano della calda luce dei fuochi. È la vigilia della festa di San Giuseppe: i palermitani accendono la vampa.
    Il santo falegname gode di molta devozione nel palermitano e in gran parte della Sicilia, egli, proclamato patrono universale della Chiesa da papa Pio IX, è considerato il protettore degli artigiani, degli orfani e degli indigenti. Inoltre, poiché fu capo e guida della Sacra Famiglia nella quale crebbe Gesù, è proclamato protettore delle famiglie.
    Il giorno di San Giuseppe è da secoli considerato la festa dei poveri e un momento a loro dedicato. In molte località, così come a Palermo, è usanza preparare la tavulata: abbondanti e svariate pietanze tipiche della tradizione contadina locale sono offerte ai fedeli e ai più bisognosi per esaudire una promessa fatta al santo.
    Il capoluogo siciliano si distingue, in particolare, per una curiosa tradizione che vede partecipi i diversi quartieri popolari della città, si tratta della cosiddetta Vampata di San Giuseppe. Come su accennato, la sera della vigilia della festa del Santo Patriarca vengono accesi dei grandi fuochi.

    Le origini della tradizione tra sacralità e riti profani

    Indicare con certezza il periodo in cui ha origine la tradizione della Vampata di San Giuseppe è alquanto difficile perché il rituale di accendere un fuoco per propiziare il volere di santi e divinità è antichissimo e si può far risalire fin alla preistoria. Giuseppe Pitrè, noto antropologo, profondo conoscitore e studioso di tradizioni siciliane, ritiene di poter attestare la presenza delle vampe nella città di Palermo a partire dall’Ottocento.
    Il rituale pagano con cui tale usanza può avere un lontano nesso comune è legato al trascorrere delle stagioni: accendere un fuoco e far festa intorno ad esso era, infatti, un rito per celebrare la fine dell’inverno e l’arrivo della stagione primaverile.
    Il rito delle Vampe di San Giuseppe a Palermo è attribuibile proprio all’antichissimo culto del sole; esso coincide con la data astronomica dell’equinozio di primavera. Dunque, il fuoco simboleggia l’astro che con il suo calore scaccia il freddo dell’inverno.
    Inoltre, la fiamma è anche antico simbolo di purificazione, tale credenza è assorbita nella tradizione contadina. Piccole vampe bruciavano i residui del raccolto per rendere fertile il terreno, pronto per la successiva semina.
    Riti pagani e cristiani si sono fusi insieme dando vita a questa curiosa tradizione, molto sentita nei quartieri popolari del centro storico di Palermo; essa vede la partecipazione soprattutto dei giovani ragazzi. Lo spirito della competizione non si fa fatica a notarlo, ogni quartiere si impegna a recuperare quanta più legna può per ottenere un fuoco più alto e duraturo possibile. 

    Le vampe

    Molti giorni prima del 18 marzo inizia un gran fermento tra i giovani dei quartieri palermitani, questi sono intenti, infatti, a procurarsi quanta più legna possibile. Il materiale da ardere viene accatastato di giorno in giorno in un angolo della piazza, successivamente è impostato a formare un’altissima pira di forma piramidale costituita da una base larga e solida con in cima spesso qualche oggetto bizzarro. Sono così accumulati oggetti di ogni sorta: vecchi mobili, assi e tavole di legno, tutto quanto possa essere facilmente combustibile. Non di rado succede che pur di raccogliere più materiale possibile venga commesso qualche atto vandalico.Tra i giovani dediti alla preparazione della vampa i compiti sono divisi tra i bambini più piccoli, i quali si dedicano alla raccolta del legname, e i ragazzi più grandi che compongono la pira e accendono il fuoco.
    La tradizione è sentita come un vero e proprio sentimento di appartenenza e innesca una forma di competizione tra un quartiere e l’altro consistente nell’allestire la pira più alta e la vampa più duratura.
    Appena calata l’oscurità della sera è acceso il fuoco: dal basso della pira le fiamme via via raggiungono grandi altezze, tanto che a volte l’intervento dei vigili del fuoco, seppur scongiurato dai fautori della vampa, diviene necessario e spesso le autorità locali hanno tentato di limitare questa usanza che può anche diventare pericolosa per l’incolumità pubblica.
    Piazza Magione, piano di Sant’Erasmo e i quartieri della Kalsa, di Ballarò, dell’Albergheria, di Brancaccio, dei Danisinni sono alcuni dei luoghi in cui si riuniscono i giovani e le loro famiglie per dar fuoco alle alte cataste di legna. Lo schiamazzo dei bimbi e l’allegria della gente riempe la notte palermitana rischiarata dalla luce delle vampe.Vicino al fuoco i ragazzi si dispongono in cerchio e girano intorno alle fiamme. Ogni tanto si innalza il grido corale di Viva San Giuseppe e si sentono recitare, per lo più dagli anziani del quartiere, alcune tradizionali invocazioni e preghiere in dialetto siciliano e in rima, tramandate nei secoli oralmente.
    Attorno al fuoco si raccolgono anche le persone più povere del quartiere e in rari casi alcuni di loro compiono ancora un gesto che era rituale ripetuto ogni anno: quello di buttare nel fuoco il pane ricevuto in dono l’anno precedente da chi aveva fatto la promessa a San Giuseppe. Si tratta di quel voto che è diffuso tra molti devoti siciliani, i quali, per chiedere l’intercessione o per grazia ricevuta, fanno promessa al santo di preparare pane e pietanze da offrire ai poveri il giorno di San Giuseppe.
    Quando le fiamme sono quasi esaurite, mentre qualcuno cerca di alimentarle, i bambini saltano sulla brace cantando e gridando ancora Viva San Giuseppe.
    In alcuni quartieri, come ad esempio la Kalsa o il Villaggio Santa Rosalia, vengono organizzate delle vere e proprie feste con musica e balli, si possono trovare anche venditori di bibite e dolci della tradizione locale come le sfince di San Giuseppe: gustose paste fritte ripiene di ricotta che, come suggerisce il nome, sono per tradizione preparate e consumate il 19 marzo.
    In alcuni casi, il cielo viene rischiarato, oltre che dalle alte fiamme, anche dai fuochi d’artificio.
    Il rito popolare che si consuma in questa notte risulta a volte pericoloso, le fiamme raggiungono più piani delle abitazioni vicine e sono davvero tanti i fuochi accesi in una sola notte. I vigili del fuoco e le forze di polizia locale sono ben pronte e attente a intervenire in caso di pericolo. 

    Il 19 marzo

    Spenti i fuochi che hanno illuminato la notte, l’indomani mattina cumuli di cenere ricoprono le piazze. Ai riti pagani, appena esauriti, succedono quelli dettati dalla tradizione cristiana: la festa religiosa ha inizio con la celebrazione della Santa Messa a cui partecipano, in particolare, le organizzazioni degli artigiani locali, poiché San Giuseppe è il loro protettore e gli sono molto devoti. La solenne celebrazione, presieduta dall’Arcivescovo, ha luogo presso la chiesa di San Giuseppe dei Teatini, in piazza Pretoria, cuore del centro storico di Palermo (una facciata della chiesa costituisce uno dei Quattro Canti di Piazza Vigliena). Al termine di ogni celebrazione eucaristica, in ciascuna chiesa avviene la tradizionale benedizione del pane realizzato nelle diverse forme che ricordano simboli cristiani e oggetti legati alla figura di San Giuseppe o della Madonna. Alcune tra le forme più diffuse nella tradizione palermitana sono ad esempio: la colomba, simbolo di pace, le forbici, simbolo della fuga dagli Inferi, la palma, simboleggiante la redenzione e richiamo pasquale; caratteristici sono dei piccoli panini rotondi impastati con semi di finocchio e anice offerti dai fornai perché vengano distribuiti ai fedeli proprio dopo la celebrazione della santa messa.

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