Una vista della Cappella Palatina di Palermo con l'altare centrale e il mosaico di Cristo nell'abside
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La Cappella Palatina è il monumento più rappresentativo e meglio conservato dell’epoca normanna che, nella contenuta volumetria basilicale di circa 12 metri di altezza e 32 di lunghezza, fonde armonicamente la tradizione bizantina, latina e islamica costituendo un ineguagliato capolavoro architettonico e artistico nel quale la profusione dei marmi antichi, l’addobbo musivo, gli arredi e il soffitto ligneo a muqarnas, rivelano la ricchezza e la potenza di Ruggero II per il quale fu costruita nel 1130, sulla precedente cappella che funge da cripta, e consacrata nel 1140, mentre i mosaici della navatella con le storie dei Santi Pietro e Paolo furono concluse durante il regno di Guglielmo II. La centralità del santuario elevato rispetto al piano delle navate, è sottolineato da quattro arconi ogivali che formano il quadrato con le nicchie angolari sulle quali poggia il tamburo  ottagonale che regge la cupola semisferica mentre le absidi recano le colonnine angolari secondo l’uso islamico. Negli alveoli delle muqarnas e tra i lacunari stellati del soffitto , il ciclo di pitture che esaltano il sovrano e la vita di corte, è l’unico testo di arte sassanide conservato integralmente e i giocatori di scacchi e i bevitori, le odalische i musici e i coppieri fanno da contrappunto alle stupende narrazioni bibliche ed evangeliche , opera in puro stile comneno dei mosaicisti costantinopolitani.

Gli intarsi marmorei, tra le rotae e le lastre di porfido del pavimento, richiamano il motivo della stella e si stendono come un tappeto secondo una distribuzione geometrica che richiama quella del soffitto. Il soglio reale, l’ambone, il prezioso candelabro pasquale fanno parte del singolare arredo della sala ipostila a tre navate sulla quale si leva il santuario segnato dalle transenne basali dell’iconostasi che originariamente lo chiudeva alla vista poiché la famiglia reale assisteva ai riti da una loggia che comunicava con gli appartamenti del sovrano.

La luce diffusa dall’alto, dopo che la cappella fu inglobata nel seicentesco cortile Maqueda del Palazzo Reale,  fa risaltare l’oro dei mosaici e ne rivela gradualmente la qualità cromatica, soprattutto se vi si accede dal nartece che mostra l’isodoma tessitura delle nude cortine murarie  e si è accolti dall’azzurro manto del Cristo sul catino dell’abside e dal Pantocrator della cupola sfavillante dove i quattro arcangeli e i quattro angeli mostrano le insegne della regalità. Gli interventi di epoca aragonese e quelli cinquecenteschi non alterarono l’unità degli addobbi musivi, che subirono aggiunte e trasformazioni rilevanti tra il XVIII e il XIX secolo, restauri avviati dal romano Mattia Moretti e dalla sua scuola, quando le finestre delle absidi furono ricoperte da nuove figurazioni e nella originaria loggia d’ingresso, cui oggi si accede al tesoro dove si conservano i famosi cofanetti in avorio intarsiato con iscrizioni arabe che richiamano quelle del soffitto, e le pergamene del Tabulario tra le quali quelle in greco, arabo e latino che si riferiscono alla fondazione della chiesa.  

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